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Crisi di impresa, rischiano in quattro: gli amministratori, i sindaci, i commercialisti e le banche

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Con il nuovo codice della crisi di impresa aumentano i rischi per i protagonisti delle società a responsabilità limitata e, in genere per tutte le società.

Quali rischi patrimoniali corre un amministratore unico di s.r.l.?

La società a responsabilità limitata è uno strumento di protezione del patrimonio che viene scelta per questa sua capacità di schermare i beni personali dei soci e degli amministratori.
Fino alla introduzione del codice della crisi di impresa il concetto di mala gestio per un amministratore era sempre stato molto nebuloso e si prestava a interpretazione diverse, contrastanti e a volte fuorvianti.
Con il nuovo codice della crisi di impresa, il collegamento esplicito all’art. 2086 del codice civile, pone gli amministratori della società di capitali di fronte alle proprie responsabilità personali, nel caso in cui non si dotino di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati al settore e alla dimensione dell’azienda che amministrano.

Cosa vuol dire dotarsi di adeguati assetti organizzativi amministrativi e contabili e cosa cambia per gli amministratori di società?

La visione dell’amministratore come di un soggetto coinvolgibile nel default dell’azienda che amministra solo in caso di attività non lecite, punibili con la bancarotta semplice o fraudolenta, è definitivamente tramontata.
Oggi gli amministratori non devono trovarsi in una situazione di default, i sistemi di allerta e di controllo sulla gestione aziendale devono essere tempestivi e in grado di guidarli in tutte le fasi.
Prima di giungere al default ci sono dei tentativi di risanamento che possono essere posti in essere per evitare la crisi o sterilizzarne gli effetti negativi. Se si arriva al default non sarà quasi necessario dimostrare la colpa dell’amministratore che sarà un fatto pressoché scontato.

Con il nuovo codice della crisi di impresa il collegio sindacale assume un nuovo ruolo?

Niente di tutto questo, già da parecchi anni la funzione del collegio sindacale era quella di vigilare sulla gestione, non dovendo limitarsi al controllo contabile, ma interessandosi a tutte le attività aziendali.
Questa funzione oggi viene ribadita, oltre le raccomandazioni del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. La tendenza al coinvolgimento del Collegio sindacale nei fallimenti delle aziende, con pene severe da parte di magistrati, nel recente passato, sarà a maggior ragione evidenziata in tutte le attività da svolgere a supporto e in controllo dell’organo amministrativo.

Le banche intensificheranno le verifiche sul rating, in seguito all’introduzione del nuovo codice della crisi di impresa?

Le raccomandazione della Autorità Bancarie Europea alle banche italiane è di operare sempre un controllo sulla prospettiva della azienda affidata, evitando di imbottirsi di garanzie per correre al riparo in caso di crisi.
Le banche, nell’erogare denaro e garantire gli affidamenti alle imprese, dovrebbero verificare il business plan e le prospettive aziendali, piuttosto che i loro immobili o le disponibilità finanziarie dei soci.
Fino a questo momento non è stato esattamente così. Oggi cosa cambia con il nuovo codice della crisi di impresa per le banche?
Cambia l’approccio che devono avere per essere coinvolte nel default e aver affidato imprenditori soli per il loro patrimonio personale, senza prospettive aziendali.
La valutazione della società da affidare passa da una verifica, anche in questo caso, degli adeguati assetti organizzativi amministrativi e contabili. La capacità di previsione, il controllo della qualità nei servizi ai clienti, una razionale gestione dei processi e la ricerca del vantaggio competitivo attraverso l’innovazione e la formazione continua.

Anche il commercialista rischia con il nuovo codice della crisi di impresa?

La valutazione non è penale o personale, perché tranne il caso di comportamenti fraudolenti o solidali con l’imprenditore in crisi non vi dovrebbero essere particolari problemi per il commercialista anche in caso di default della società.
E’ inimmaginabile, tuttavia, una situazione di crisi dell’impresa senza pensare ad una responsabilità, quantomeno professionale, da parte del commercialista.
L’impegno di ogni professionista che assiste la società dovrebbe essere quello di stimolare e incentivare gli amministratori alla adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

E se l’amministratore non si adegua alle prescrizioni dell’art. 2086 del codice civile, cosa può fare il commercialista?

Il commercialista non ha nessuno strumento giuridico per obbligare l’amministratore di una società ad adottare un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, contro la sua volontà, visto anche l’impegno economico che sarà certamente necessario per soddisfare questa esigenza dell’azienda.
L’unico strumento possibile del commercialista per evitare la crisi di impresa di una società sua cliente è quello di rimettere l’incarico professionale.
In questo caso la società si troverà in enorme difficoltà dovendo trovare un altro professionista che accetti di assisterla in una situazione difficile, che potrebbe condurre ad una procedura giudiziale o pre giudiziale.

Cosa fare se il commercialista rinuncia all’incarico?

Che il commercialista rinunci all’incarico non è automatico, in quanto il professionista tende a trattenere il cliente a tutti i costi, o quasi, tuttavia è uno scenario possibile. Se l’azienda è in difficoltà sarà complicato trovare un altro professionista che accetti il mandato professionale, facendosi carico di una situazione problematica, potenzialmente pericolosa e con il concreto rischio di non aver fatto un buon affare dal punto di vista economico.
In conclusione tutti i protagonisti dell’azienda, che traggono benefici economici da essa, e hanno tutto l’interesse a tenerla in salute, devono remare nella stessa direzione, avendo ben chiaro l’obiettivo di rispettare non solo la legge, ma anche le regole aziendali più elementari.
Tenere in vita un’azienda in difficoltà non conviene a nessuno, per questo motivo è opportuno per tutti agire con prudenza, rispettando le regole economiche e vigilando sul rispetto dell’art. 2086 del codice civile.
Un passaggio culturale non da poco per l’amministratore di società che, sempre di più, deve misurarsi con una oculata gestione e avvalersi di collaboratori e consulenti che lo assistano per creare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato.
L’amministratore, innanzitutto, deve comprendere che un investimento in organizzazione amministrativa e contabile è necessario per stare tranquilli e non rischiare il patrimonio personale. Dopo aver compreso questo, si renderà conto, finalmente che il recupero di efficienza e il vantaggio competitivo realizzato, diventeranno un piacevole effetto collaterale.
Giovanni Emmi
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